Come su altre questioni cruciali di questi ultimi cento giorni, l’esecutivo Meloni è arrivato tardi: a pochi giorni dall’ok del decreto legge in Cdm infatti Lukoil ha raggiunto un’intesa con il fondo cipriota G.O.I. Energy.
Questo accordo ha svuotato il provvedimento della sua vera ragion d’essere, facendone venire meno i presupposti di necessità e urgenza per cui era nato. Detto questo, è l’approccio generale del governo in tema di politica industriale a essere poco incoraggiante. Se da una parte è sacrosanto tutelare gli interessi nazionali potenzialmente coinvolti, garantendo futuro e continuità produttiva ad imprese che rappresentano tasselli fondamentali della nostra industria, dall’altra non si può passare sopra a determinati obiettivi legati alla transizione ecologica, alla riconversione produttiva in termini maggiormente sostenibili per l’ambiente e alla decarbonizzazione. Garantire produzione e livelli occupazionali calpestando il diritto alla salute non può essere lo schema per l’Italia dei prossimi anni.
Su questo aspetto, tanto al Senato quanto alla Camera abbiamo cercato di dare un contributo serio e concreto, ma purtroppo governo e maggioranza hanno deciso di girarsi dall’altra parte. Un antipasto molto amaro di quanto saremo chiamati a discutere sul prossimo Dl Impianti Strategici, dove sull’ex Ilva di Taranto si preannunciano altre scelte assurde in tema di tutele ambientali, con il forte dubbio che non sia più quella del forte presidio pubblico la via intrapresa dal governo per il polo tarantino.
Insomma, le intenzioni del duo Meloni-Urso sono chiare: “purché si produca, vale tutto”. Non può funzionare così. Diritto al lavoro e diritto alla salute devono coesistere, altrimenti in specifici settori il nostro paese è destinato ad avere il fiato cortissimo.