Le “clausole di salvaguardia” sono imposte e tasse, evitarle significa non aumentare la pressione fiscale.
Nell’opinione pubblica una tassa non messa o evitata fa assai meno effetto rispetto ad una tassa tolta o ridotta; perché nel primo caso non c’è da pagare di più mentre nel secondo caso si paga di meno rispetto a prima, quindi i cittadini ne hanno una diversa percezione.
È il caso delle cosiddette “clausole di salvaguardia” cioè meccanismi di aumento in automatico di imposte e tasse nel caso in cui l’Italia non riesca a rispettare i vincoli di bilancio concordati in passato con l’Unione Europea.
Le “clausole di salvaguardia” sono state introdotte dal governo Berlusconi IV nel 2012 per ben 20 miliardi di euro, poi riprese e rilanciate in aumento dai governi successivi: Monti, Letta, Renzi, Gentiloni periodo durante il quale l’IVA è comunque arrivata al 22%.
L’attuale governo Conte ha ereditato dal passato questa situazione disastrosa e nonostante una congiuntura economica sfavorevole sta riuscendo ad evitare l’aumento dell’IVA dal 22% al 25%, che sarebbe scattato dal 1 gennaio 2020.
Ciò significa evitare circa 23 miliardi di euro all’anno di aumento dell’IVA che avrebbero dovuto pagare tutti gli italiani, con aggravio soprattutto per le categorie sociali meno abbienti, cosa che avrebbe depresso i consumi e rallentato ulteriormente una eventuale ripresa economica.